Officina Talenti – Una generazione in cerca di risposte

Alec Conti

Non poteva esserci momento più delicato – o per meglio dire, infuocato – nel quale fissare l’appuntamento annuale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il marasma dei mesi passati, in cui la questione climatica ha scosso i vertici delle Nazioni, aveva infatti reso chiaro cosa ci sarebbe stato al centro del dibattito. E così i Paesi, nella 74esima edizione dell’Assemblea, si sono impegnati a rispondere al mondo intero.

Questione Amazzonia. La più discussa, finita apri-fila dei dibattiti, viene demistificata dal presidente sudamericano Jair Bolsonaro: “Non è patrimonio dell’umanità”, ha detto. Per la serie del mio giardino di casa ci faccio un po’ quello che voglio. Non ci poteva essere apertura migliore, per ribadire la posizione dei leader di estrema destra partecipanti al Congresso. È assodato che il climate change è una minaccia ed è giusto che se ne parli, ma che altrettanto giusto è risolverla nelle proprie mura di casa, a loro avviso.

Greta Thunberg

Donald Trump, tanto rivale a Greta Thunberg, afferma quindi che “il futuro è dei patrioti, non dei globalisti”. Lui che al suo ingresso all’Assemblea non si è accorto dell’occhiata inferocita di Greta, che oltre ad aver preso parte all’Assemblea, è stata protagonista di un simpatico siparietto da social con il Presidente degli Stati Uniti d’America. Che con un Tweet risponde al suo discorso dai toni infuocati definendola come una ragazza felice con un futuro radioso: testo subito incollato, orgogliosamente, dall’attivista svedese in cima al suo profilo.

Mettendo da parte le frecciatine, questa Assemblea ha rimesso al centro del dibattito politico la questione sul turbolento presente e il futuro. Carico di speranze, questo, per una nuova generazione che si aspetta delle risposte chiare e immediate. Guidata da un sentimento profondo, che traspare dagli occhi lucidi di rabbia della sua portavoce Greta Thunberg.

“Il mio messaggio per voi è che vi terremo d’occhio”. Così apre il suo breve ma intenso discorso alle Nazioni Unite, invitata in rappresentanza della folla impaurita dal cambiamento climatico e dalle poche certezze su un pianeta che a breve potrà essere sempre meno adatto a ospitarci. Seppur diventata un’icona dell’attivismo, la sua presenza davanti ai 193 Paesi membri dell’ONU non è mai scontata. E neppur banale considerando le sue parole al veleno.

Greta Thunberg rappresenta molte più cose di quanto si possa pensare. Prima su tutti la non trascurabile presa di posizione di una nuova generazione disposta a cambiare il proprio stile di vita nel rispetto dell’ambiente, che ha dovuto fare i conti con la natura espansionistica dell’economia. Non è plausibile un mondo che arresti la produzione per emarginare il consumo, spreco annesso. Vegetariani, vegani e tutti gli ambasciatori spontanei di un mondo plastic-free hanno trovato finalmente una voce. 

Ma prima di tutto un simbolo. In questi giorni di fermento, a riflettori ancora spenti, è infatti arrivata una lettera nella casella della posta dell’ONU. La firmano 500 scienziati, i migliori esperti di clima con i dati più attendibili, disponibili al momento, che invocano a un confronto di sensibilizzazione sulle reali previsioni rispetto a un mondo che, a detta di molti, sembra troppo tardi per essere salvato. Il mondo tiene, dimostrano. E sarebbe forse il caso di far rientrare annunci apocalittici e scenari da 2012 e profezie Maya. Altrimenti si rischia di fare propaganda. Trasformando il simbolo dalle innocenti treccine in un premonitore del terrore, non della consapevolezza e della responsabilità.

 

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