Wunderman Thompson, cuore creativo e battito digitale

Il CEO Giuseppe Stigliano racconta l’evoluzione dell’agenzia

È appassionato di vela Giuseppe Stigliano, dallo scorso giugno CEO di Wunderman Thompson Italia. Per raccontare il percorso intrapreso dalla sua agenzia non esita a utilizzare proprio una metafora da uomo di mare: «Quando cambi rotta, viri e poi c’è un momento in cui il boma passa dall’altra parte, e c’è una fase in cui vai controvento per poter girare. A un certo punto rallenti, fino ad avere la sensazione di essere fermo, ma poi la barca riparte con decisione verso una nuova direzione. È un po’ quello che è successo a noi. Credo che l’ultimo anno per l’agenzia sia stato di transizione. Con il Chief Creative Officer Lorenzo Crespi, mio sparring partner da gennaio, abbiamo avviato un processo di trasformazione che sta già dando i suoi frutti. Non ci nascondiamo, abbiamo perso alcuni clienti importanti, come Barilla e Vodafone. È stato un cazzotto ben assestato. Ma dall’altra parte sono arrivati tanti clienti completamente diversi come Poste Italiane, Wind3, P&G, Nintendo, Bridgestone, Money Farm, Bata e altri: aziende con le quali abbiamo dovuto costruire una grammatica nuova e che ci chiedono cose differenti». 

Giuseppe Stigliano

Entrato in J. Walter Thompson nel gennaio 2019 dopo l’esperienza di Executive Director Europe in AKQA, il manager 38enne, co-autore con il guru internazionale Philip Kotler del libro “Retail 4.0”, ha avuto il compito di gestire la fusione con Wunderman nel nostro Paese. Un’operazione sancita a livello internazionale da WPP alla fine del 2018. In questo processo Stigliano ha portato una visione molto chiara.

«J. Walter Thompson in Italia ha aperto negli anni 50 – racconta il manager -. Parliamo di un’istituzione, considerata l’Università della pubblicità. Ma come tutte le istituzioni nei momenti di cambio di paradigma rischiava di essere percepita come qualcosa di vecchio. Una realtà che rappresentava un’eccellenza della industry aveva un problema: era uno dei punti di riferimento di un mondo che andava progressivamente eclissandosi. Oggi ci muoviamo in uno scenario in cui gran parte della crescita viene dal digitale, un ambito dove spadroneggiano gli OTT. Dall’altra parte c’era Wunderman: considerata a livello internazionale un punto di riferimento assoluto su una serie di temi che riguardano dati e tecnologia. Da subito mi sono convinto che l’unione di queste due anime potesse dare vita a una nuova agenzia in cui al cuore creativo avremmo potuto aggiungere un battito digitale, fondendo senza soluzione di continuità strategia, creatività, dati e tecnologia».

Making things people want

Così la nuova Wunderman Thompson si è affacciata al mercato con una proposta precisa. «Il lavoro dei pubblicitari è stato da sempre “Making people want things”- spiega Stigliano -. Questo non significa tanto creare domanda, cosa in cui non ho mai creduto, ma andare a solleticare bisogni latenti, a interpretarli. Ora ci muoviamo in una direzione diversa che si può sintetizzare nella frase “Making things people want”. Un approccio che impone di costruire l’insight a partire da una mole imponente di dati. Abbiamo l’opportunità di studiare le tendenze, di avvalerci di ricerche quali-quantitative, di “ascoltare” la Rete monitorando recensioni e commenti, di analizzare il modo in cui le persone formulano le ricerche on line. Questo vuol dire usare i dati per informare la creatività, non certo per determinarla. Il creativo consapevole non percepisce tutto questo come dei paletti. Al contrario, grazie a tutti questi input fa sì che le sue idee poggino su basi solide, meno opinabili. Da un lato c’è sempre meno spazio per il “secondo me”, dall’altro resta centrale il modo in cui il dato è interpretato per trasformarlo in un insight. Un po’ come dire che i big data sono inutili se non diventano small, smart e actionable».

Un altro tema caro al CEO di Wunderman Thompson è quello della misurabilità. «Il digitale ha abituato tutto e tutti a un rigore in termini di misurazione del successo di una campagna – afferma -. Siamo passati da una misurazione campionaria a una censuaria. Questo ha favorito l’affermarsi di un’attenzione maniacale verso tutta una serie di metriche. L’effetto si è avuto anche nel mondo analogico. Ci muoviamo in uno scenario in cui quasi tutto è misurabile. Ma i dati non ci devono spaventare. I dati danno al creativo la possibilità di avere più elementi per conoscere il contesto e compiere una scelta. Poi può decidere di andare nella direzione opposta rispetto a quella suggerita dai numeri. Quando esco di casa devo sapere che clima ci sarà. Se so che piove potrò prendere l’ombrello o anche scegliere di andare in infradito. L’importante è che sia una decisione consapevole».

Un posizionamento quello dell’agenzia che inevitabilmente andrà a incrociare quello delle consultancy. «Delle 4 P del marketing – chiarisce Stigliano – prima ci focalizzavamo solo sulla promotion, oggi ci occupiamo di product, price e place. La pubblicità rappresenta solo una parte. Noi applichiamo la creatività al business delle aziende, non solo alla comunicazione. Nella maggior parte dei casi un vero brief per un progetto così non c’è. E quindi noi non lo aspettiamo, lo co-creiamo con il cliente adottando un approccio agile all’insegna del design thinking. Mettiamo a disposizione strumenti per esplorare e trovare soluzioni, con un approccio agnostico. Il nostro messaggio è “conosciamo la tecnologia, disponiamo dei dati e vogliamo metterli al vostro servizio. Distilliamo idee e la validiamo con i portatori di interesse, per poi impostare una road map operativa che porti all’esecuzione del progetto; nella consapevolezza che molto probabilmente ci dovrà essere un costante fine-tuning per affinare ciò che avremo portato sul mercato. Nel momento in cui vai a fare un percorso di questo tipo prendi per mano l’azienda. Non c’è nessuno che guida, si va avanti nel rispetto delle reciproche competenze. La tecnologia diventa così un mezzo per un fine. Noi mettiamo orizzontalità, dove l’azienda mette verticalità».

Nello specifico il manager si riferisce a un tema chiave, quale la conoscenza della customer experience, costruita su un’ampia gamma di clienti che operano nei settori merceologici più disparati. «Il nostro lavoro quotidiano ci consente di conoscere i benchmark esperienziali, le asticelle delle aspettative delle persone in una serie di frangenti della loro vita. Le aziende tendono a non partire dal cliente, ma da quello che sanno fare, e così facendo rischiano di costruire soluzioni in cerca di problemi. Noi vogliamo aiutarle a cambiare prospettiva, andare incontro ai bisogni degli individui. Le società di consulenza possono arrivare molto vicino alla nostra value proposition, ma manca loro qualcosa: la conoscenza del brand. Chiunque abbia professionisti di valore, implementi i giusti processi a livello di design thinking e service design può arrivare a dire se un progetto è tecnicamente fattibile, economicamente sostenibile e rilevante per le persone. Noi aggiungiamo un pezzo. Possiamo dire se quel prodotto o servizio sta portando valore all’equity della marca. E questo fa la differenza, perché in un mondo che va nella direzione della disintermediazione l’unico asset in mano alle aziende tradizionali è proprio il brand. Il nostro tratto distintivo sta nel fatto che noi capiamo la marca. E su questo quando siamo in pochi vedono palla». 

Fra le ultime acquisizioni ABB e Baci Perugina 

Su questa convinzione Stigliano ha impostato il percorso della sua agenzia. «Nel 2019 abbiamo fatto tantissime gare, accettando di avere un tasso di conversione più basso di quello a cui ambiamo – racconta -. Ho chiesto a tutti di fare uno sforzo importante. Questo ci è servito per dire al mercato che cosa siamo diventati. E il nostro posizionamento spesso spiazza le aziende che ci vedono come un ibrido tra un’agenzia e una consultancy. Se ben gestita questa ambivalenza ci può portare a competere su più fronti contemporaneamente, allargando il nostro spettro d’azione. Non è un caso che i risultati siano arrivati da gare molto diverse. In certi alcuni siamo stati chiamati a competere con altre agenzie creative, in altri con società di consulenza e in altri ancora con solution provider. Negli ultimi quattro mesi abbiamo raggiunto la shortlist in oltre dieci gare, abbiamo consolidato la nostra presenza su quattro dei nostri clienti principali aumentando il numero di brand e progetti che gestiamo. Solo nelle ultime due settimane abbiamo acquisito due clienti del calibro di ABB – multinazionale elettrotecnica svizzero-svedese attiva in oltre 100 Paesi nei settori della robotica, dell’energia e dell’automazione – e di Baci Perugina, per cui realizzeremo una serie di progetti nel corso del 2020 (vedi notizia). Ma il dato che mi conforta maggiormente rispetto alla direzione intrapresa è l’assegnazione diretta, a valle di un workshop, di sei incarichi molto importanti con altrettante aziende. Ecco perché siamo sempre meno propensi a competere per budget legati a progetti one off e sempre più interessati a percorrere un pezzo di strada assieme ad aziende ambiziose, disposte a intraprendere opportunità di crescita inesplorate».

In merito alla congiuntura che il Paese sta vivendo il manager dichiara: «Credo che in un momento storico così complesso come quello che il mondo sta vivendo in queste settimane, il ruolo del marketing debba decisamente evolvere da amplificatore di notorietà a propulsore di innovazione. Le agenzie devono schierarsi al fianco delle aziende e fondere le rispettive competenze per forgiare la creatività affinché contribuisca a creare reale valore per le persone. I benefici economici per le aziende verranno di conseguenza».

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