Officina Talenti – Una ricompensa chiamata vendetta

Soltanto un’insolita coincidenza di accadimenti e ricorrenze poteva portarmi a parlare di morte proprio alla vigilia del primo novembre. E forse questo potrebbe non sembrare lo spazio giusto per farlo. Ma spero che la scelta di partire da questo tema sia solo un’occasione per riflettere su quello che sta accadendo intorno a noi, che dall’altra parte dell’oceano può, senza nemmeno accorgercene, influenzarci direttamente. Era 8 anni che dai campi di battaglia non giungeva notizia di un’uccisione tanto celebre. Era il 2 maggio 2011 quando la Operation Neptune Spear, un’azione militare condotta dai Navy SEAL nell’ambito della guerra al terrorismo, portò alla morte del fondatore e leader di Al-Qaeda Osama Bin Laden. Il mostro del terrore fu ucciso e l’America, ancora ferita dalla strage dell’11 settembre, ebbe la sua vendetta. Oggi tutti i giornali del mondo parlano di un’altra operazione, avvenuta il 26 ottobre 2019 nel circondario del villaggio Barisha nel Nord-Ovest della Siria. Un altro mostro del terrore ricondotto alla giustizia. Abu Bakr al-Baghdadi, fondatore e leader del più pericoloso nucleo terroristico dell’era moderna, ucciso nel suo bunker al confine della Turchia. Messo alle strette dalla Delta Force, fugge nei tunnel sotterranei nel vano tentativo di evitare la cattura, prima di farsi esplodere quando capisce che non ha via di scampo. A Donald Trump e al suo predecessore Barack Obama spetta il compito di annunciare ufficialmente al mondo che la vendetta è compiuta, le innumerevoli vittime portate via dal fanatismo e dalla pazzia raggiunte dal loro aguzzino.

Dal microfono più importante del mondo viene riportata l’immagine del campo di battaglia. Il boato delle bombe, le urla strazianti. Le case in rovina da cui oggi l’America riporta a casa il trofeo più ambito. Barack Obama scelse con tono pacato di riportare “all’attenzione dell’America e del mondo che gli Stati Uniti hanno condotto un’operazione ha portato all’uccisione di Osama Bin Laden, leader di Al-Qaeda, l’assassinio responsabile della morte di migliaia di uomini, donne, bambini”. Dopo aver riaperto la piaga dell’attentato alle Torri Gemelle e riportato a quei momenti strazianti per il popolo americano, ricordò la promessa del suo mandato: “Uccidere o catturare Bin Laden fu la priorità assoluta della nostra guerra contro Al-Qaeda”. Un discorso di pochi minuti, per comunicare al mondo che la guerra aveva condotto a un’altra vittima. Senza strumentalizzazioni che potessero fomentare un inutile sentimento di rivalsa. Un pensiero alle vittime, che in questa morte simbolica trovano pace a 10 anni dalla disgrazia. 

Alec Conti

Donald Trump, in un momento così delicato per il mondo intero, dopo che il terrorismo ha raggiunto l’Europa e fomentato la paura e il disprezzo per il diverso, sale sul palco più importante del mondo ad annunciare che la sua priorità di uccidere il leader dell’ISIS era stata soddisfatta: “È morto dopo aver corso all’interno di un tunnel senza via d’uscita, singhiozzando, piangendo e strillando per tutto il tempo” e continua: “colui che ha inculcato timore negli altri, ha passato gli ultimi momento della sua vita nel panico, nel terrore delle nostre forze armate. È morto come un cane, come un codardo”.

Quarantotto minuti di violenza verbale per scaricare anni di rabbia repressa. E odio. Sete di vendetta, invocazione alla giustizia divina (ha detto anche questo), richiamando il sangue versato negli ultimi momenti di un essere ignobile, eppure sempre umano. Un discorso che fa il giro del mondo e finisce sui banchi di scuola, nelle cuffie, nelle radio dei bar. Sulla home di YouTube di milioni di giovani che, chiamati a costruire un mondo di pace, assaporano la vendetta come forma di ricompensa. La guerra ancora una volta come il mito purificatore, la lotta armata l’auspicio di un futuro più sicuro. Sorge una domanda: non è anche questo terrorismo?

 

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