La rivoluzione analogica – La comunicazione pubblica e il giorno della marmotta

Le aziende private riconoscono nella comunicazione un valore portante della marca. Ormai sono rari o inesistenti i brand comunicativi che non siano dotati di risorse interne totalmente dedicate alla Comunicazione come parte integrante del marketing. Risorse umane che dialogano direttamente con la governance più alta dell’azienda, con i responsabili delle vendite.

Accade anche nelle aziende che creano valore di marca, non solo per vendere prodotti o servizi, ma anche per chi lavora nel sociale. Persone che hanno uno scopo: creare posizionamento, percezione, ma anche di emettere una comunicazione congruente con gli obiettivi. Gente che partendo dai brief all’agenzia verifica anche l’aderenza delle idee ad un obiettivo specifico. In ogni caso, quasi sempre, sono (o almeno dovrebbero essere) qualificate.

Per la preparazione in questo settore esistono fior di MBA, corsi, università, istituti pubblici o privati che trasfondono il valore della comunicazione di marca in una porzione di classe dirigente che decide cosa dire e come dirlo.

Ecco, a quanto pare fanno eccezione gli enti pubblici, quelli che dovrebbero essere investiti della responsabilità della comunicazione sociale, forse il tassello più importante di una comunità evoluta. L’ente pubblico ha come “dominus” alla fine della scala gerarchica, quasi sempre qualcuno che afferisce al mondo politico e, si sa, avere un po’ di consenso popolare rende immediatamente esperti in qualunque settore.

Puoi essere un avvocato, ma se sei un politico che ha avuto il consenso, niente ti impedisce di diventare Ministro della Difesa o degli Esteri. È così che diventi anche esperto di comunicazione del tuo Ministero, della tua Regione, della tua città, del tuo ente. Proprio recentemente ho avuto occasione di lavorare a una campagna per un distretto turistico.

Brief molto dettagliato a cui seguono una serie di proposte estremamente aderenti… presentazione al “leader maximo” il quale porta il benchmark di una campagna realizzata da un paese lontano, non solo dai luoghi che dobbiamo comunicare, ma anche totalmente lontano da quello che è l’intento originario della campagna.

Così soccombono anni di professionalità nella comunicazione di account e creativi che immediatamente supini al cliente sono costretti a genuflettersi alla volontà dell’amministratore di turno che come tutti i suoi predecessori è arso dal sacro fuoco del rinnovamento, del voler lasciare un segno, del voler imporre a ogni costo una sua personalissima visione delirante del mondo.

In poche parole, a ogni elezione politica o amministrativa arriva la personalità che di un brand pubblico invece di creare riconoscibilità e autorevolezza, crea invece disorientamento, costringendoci a vivere “nell’eterno giorno della marmotta” di “ricomincio da capo”. Ogni giorno si fa e si disfa il giorno precedente.

 

Gianfranco Moraci. Sono siciliano e faccio il copywriter. Non facciamone un caso.
Lavoro e ho lavorato per agenzie di comunicazione nazionali e multinazionali, ma anche come consulente di comunicazione freelance per aziende italiane, internazionali ed Enti Pubblici.
Attualmente sono nomade tra Milano, Roma e la Sicilia. Mi alterno tra la coltivazione dell’orto e il terziario avanzato; tra la raccolta delle melanzane in campagna e le campagne per nuovi e vecchi media in città.
Ho lavorato a campagne internazionali e a Roma ho diretto il reparto creativo di importanti agenzie nazionali e internazionali.
Attualmente sono stato accolto amorevolmente da Milano e spero che possiate divertirvi a leggere le mie inutili divagazioni accolte dagli amici di Touchpoint.

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