La rivoluzione analogica – Quando la politica scambia la visibilità per l’autorevolezza

C’è stato un momento nella nostra storia, poco prima della metà degli Anni Novanta, in cui si è spezzato il legame di fiducia tra le persone e la politica. Un momento in cui l’autorevolezza dei leader si è trasformata non in autorità, ma in “incarico”.

Fonte: Depositphotos

Io personalmente identifico quel momento con lo scandalo di tangentopoli. In quel momento di difficoltà i partiti politici hanno interrotto la loro comunicazione interpersonale, ma anche indiretta con i cittadini. I partiti si sono comportati come delle barche in panne. Naviganti in difficoltà che nel mare mosso hanno deciso di prendere la radio di bordo e gettarla in mare. Insomma, si è interrotto il dialogo.

Così hanno resistito gli stati generali, ma le truppe sono andate disperse. I partiti si sono ritrovati con gli alti ufficiali, ma senza i militari. La militanza è quasi sparita tanto a destra come a sinistra.

È solo la mia opinione, non so se siete d’accordo, ma è come se si fosse interrotta la dialettica per le strade, nei bar e si fosse accesa solo una contrapposizione tra alcune “Italiette” portatrici esclusivamente delle proprie problematiche circoscritte non a un contesto sociale totale, ma ad alcune categorie. Sono sparite le sedi distribuite in modo capillare sul territorio e si è lasciato spazio ai media, ma senza mediatori.

Hanno dismesso tutti i livelli di relazione diretta e hanno lasciato ai grandi media il compito di vendere non un’idea, ma un leader. Non una visione, ma un’illusione. Tutto è diventato un dibattito contrapposto senza dialogo.

È  arrivato lo strapotere della televisione e i partiti hanno iniziato a investire dove in genere si propone l’intrattenimento pop dimenticando che il media nobilita il messaggio. La televisione però non sostituirà mai un rapporto diretto.

La televisione è un media freddo, senza interazione, non implica coinvolgimento sensoriale, ma solo partecipazione emotiva, raramente razionale. C’è anche da dire che la politica in tivù non costa molto, anzi, non costa quasi niente. Riempi ore di programmazione con ospiti in cerca di visibilità a costo zero.

In un programma televisivo di due ore hai almeno otto break e in ogni break ci sono dentro almeno 12 spot. Insomma, fai suonare il registratore di cassa senza dover fare magazzino. Si è interrotto un dialogo tra la politica e i cittadini, tra i rappresentati e i rappresentati. I politici pian piano hanno dimenticato che il media nobilita il messaggio così hanno demandato ai talk show e ai social il compito di rappresentarli.

I quotidiani ricchi della coscienza critica e della memoria storica delle gesta dei politici sono passati in secondo piano. Twitter e Facebook la fanno da padroni, però… però… (c’è più di un però) sono media a cui tutti possono accedere, il post di uno – vale uno – anzi, un post vale l’altro e se tutti hanno la stessa potenzialità di comunicare, tutti perdiamo l’autorevolezza per cui siamo trasportati nei campi di scontro della comunicazione. Insomma, se il media prima nobilitava il messaggio, adesso lo svilisce, così la classe politica utilizza i social per creare visibilità, ma non autorevolezza.

Per parlare di pane e nutella, ma anche di immigrazione. Le foto della carbonara e l’elezione del Presidente degli Stati Uniti vanno di pari passo e assurgono allo stesso ruolo: farsi vedere quanto e più degli altri. La politica afferisce alle idee, a una visione di futuro e questa “over communication” sul presente e sull’emergenza non capitalizza niente, specie su media realmente democratici.

I mass media non possono essere democratici, devono essere selettivi, hanno un ruolo di mediazione importante, chi gestisce i media è un operatore politico e culturale e deve farsene una ragione.

Questa ragione prescinde dal registratore di cassa. Se vuoi cittadini coscienti hai bisogno di approfondire e farlo con toni razionali e analisti selezionati e qualificati. Il fallimento della gestione della contrapposizione è sotto gli occhi di tutti: è autorevole Draghi che i social non li frequenta e non dialoga direttamente con nessuno.

Insomma, sforzo di comunicazione zero. Il suo operato fino a oggi è stato riportato solo da analisti qualificati e da una stampa che a corto di comprensione di una visione economica internazionale ha interpellato gli addetti ai lavori. Draghi è il racconto di una “voce terza”. Non autoreferenziale, non presenzialista.

Poi, se i leader politici vogliono capire la lezione possono farlo… in alternativa lascino sempre il passo a qualcuno più credibile di loro e vi garantisco che non è difficile trovarlo.

 

Gianfranco Moraci. Sono siciliano e faccio il copywriter. Non facciamone un caso.
Lavoro e ho lavorato per agenzie di comunicazione nazionali e multinazionali, ma anche come consulente di comunicazione freelance per aziende italiane, internazionali ed Enti Pubblici.
Attualmente sono nomade tra Milano, Roma e la Sicilia. Mi alterno tra la coltivazione dell’orto e il terziario avanzato; tra la raccolta delle melanzane in campagna e le campagne per nuovi e vecchi media in città.
Ho lavorato a campagne internazionali e a Roma ho diretto il reparto creativo di importanti agenzie nazionali e internazionali.
Attualmente sono stato accolto amorevolmente da Milano e spero che possiate divertirvi a leggere le mie inutili divagazioni accolte dagli amici di Touchpoint.

Segui la diretta di: