La rivoluzione analogica – Riapertura a redditività limitata

Faticosamente e confusamente l’Italia sta per riaprire i battenti di fabbriche, aziende e negozi. Tanti rientreranno nei posti di lavoro riaccendendo le proprie macchine con un approccio un po’ diffidente. Sterilizzeranno le postazioni di lavoro, puliranno le tastiere e i mouse, digiteranno con addosso i guanti e le mascherine. Si distanzieranno dagli altri. Le riunioni saranno di certo meno affollate e distanziate in ambienti e contesti pensati “pre-virus”.

©Mike Petrucci on Unsplash

Ricorda un po’ il sistema operativo del computer semi infetto dai bug di sistema. Avvii le System Utility, fai uno Scan dell’Hard Disk, dopo di che riavvii la macchina sperando che possa andare un po’ meglio. Quello che sta in mezzo tra il luogo di quarantena e il lavoro è il tuo sistema operativo di mobilità, lì avrai tutto il tempo per continuare a pensare e porti gli interrogativi più grandi di questa crisi: “si rifaranno vivi tutti i clienti”?, “i fornitori ci sono tutti”? Per chi gode degli ammortizzatori sociali (e nel mondo della comunicazione non sono in tanti) l’interrogativo è se il tuo posto di lavoro ci sarà ancora. Per tanti non ci sarà più, perché per molte piccole e medie imprese non c’è motivo di ripartire.

Quasi due mesi di inattività hanno rappresentato una perdita… sono ferme e forse condannate a morte molte categorie che non potranno neppure adeguarsi al nuovo standard di convivenza. Purtroppo la realtà non funziona come per i personaggi dei Cartoon in cui Homer Simpson, Paperino e gli altri sono cristallizzati in uno spazio temporale in cui non si invecchia. Homer ha sempre 38 anni, Paperone è sempre trilionario e la centrale nucleare di Springfield funziona al solito.

Nella realtà, però, tante cose per funzionare hanno bisogno di essere ripensate, ma soprattutto hanno bisogno di una spinta vivace, ottimistica e di uno slancio altruistico.

Per esempio, tutte le imprese hanno bisogno di lavorare per guadagnare, ma mai come in questi giorni è più importante lavorare che guadagnare. Rinunciando a qualcosa per spingere il motore di un’economia che fa fatica a ripartire. Se gli spazi pubblicitari, se i fornitori di servizi, se i designer che progettano i nuovi spazi e se tutto il sistema avrà costi abbordabili e modalità di pagamento meno pressanti, le imprese investiranno nella ripartenza. Sarà tutto più facile. Sarà come mettere il lubrificante giusto nei pignoni della bicicletta. Sarà come partire in pianura piuttosto che in salita.

Pensare di lasciare tutto com’era è impensabile e pensare che possano trovare un rimedio finanziario solo lo Stato e l’Europa è utopistico.

Bisogna ridimensionare tutto affinché tutto sia accessibile, iniziando dai servizi per finire ai prodotti di largo consumo. Forse portare il costo della vita a una migliore sostenibilità renderà tutti più ricchi. Perché dopotutto, dopo le belle parole retoriche e scontate di troppi spot tutti uguali “… insieme ce la faremo…”, “… torneremo a riabbracciarci…” ecc. ecc, c’è la realtà. Un mondo, un continente, un Paese, delle città che nel frattempo sono diventati molto, ma molto più poveri. Dobbiamo iniziare a guardare al benessere collettivo.

Le grandi aziende dei servizi, dalla telefonia all’energia; dalle assicurazioni alle banche; anche ognuno di noi che lavora nel terziario, nel suo piccolo, dovrà preoccuparsi di ridistribuire la ricchezza (e non intendo solo quella materiale, ma anche le capacità, il know how). Le donne e gli uomini che producono sono gli stessi che consumano. In un mondo di consumatori più poveri, ci saranno aziende più povere.

La contrazione dei consumi ci sarà solo se non ci sarà una contrazione dei costi. Non sono un economista, ma su questo ho le idee piuttosto chiare, perché faccio questo mestiere da oltre vent’anni, perché ho attraversato due crisi importanti e ogni volta ho realizzato che la crisi non è il momento dell’emozionalità, ma della concretezza. Non è il momento della retorica, ma delle idee, quelle vere.

 

Gianfranco Moraci. Sono siciliano e faccio il copywriter. Non facciamone un caso.
Lavoro e ho lavorato per agenzie di comunicazione nazionali e multinazionali, ma anche come consulente di comunicazione freelance per aziende italiane, internazionali ed Enti Pubblici.
Attualmente sono nomade tra Milano, Roma e la Sicilia. Mi alterno tra la coltivazione dell’orto e il terziario avanzato; tra la raccolta delle melanzane in campagna e le campagne per nuovi e vecchi media in città.
Ho lavorato a campagne internazionali e a Roma ho diretto il reparto creativo di importanti agenzie nazionali e internazionali.
Attualmente sono stato accolto amorevolmente da Milano e spero che possiate divertirvi a leggere le mie inutili divagazioni accolte dagli amici di Touchpoint.

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