
Il ruolo della comunicazione nella costruzione di un futuro sostenibile
L’analisi di Andrea Cornelli, Vicepresidente di UNA - Aziende della Comunicazione Unite - e Partner di SEC Newgate
La comunicazione ha da sempre influenzato profondamente il modo in cui pensiamo, ci comportiamo e vediamo il mondo. Ma oggi, in un’epoca segnata da crisi sociali, trasformazioni economiche e sfide ambientali, il settore è chiamato a una rinnovata consapevolezza. La sostenibilità – non solo ambientale, ma anche sociale e culturale – si impone come bussola imprescindibile per chi opera nel comparto. Con Andrea Cornelli, Vicepresidente di UNA e Partner di SEC Newgate, abbiamo parlato di etica, reputazione, responsabilità e del valore concreto dell’impegno delle agenzie.

Andrea Cornelli
La comunicazione ha sempre avuto il potere di orientare opinioni, comportamenti e cultura. In un’epoca segnata da grandi trasformazioni sociali ed economiche, come sta cambiando – o come dovrebbe cambiare – il suo ruolo nella società?
Quello che penso da professionista del settore è che oggi più che mai la comunicazione debba risultare centrale e dichiaratamente orientata alla costruzione di un futuro più più sostenibile. E questo non riguarda solo le agenzie, ma anche il terzo settore, il volontariato, chiunque comunichi per generare valore sociale. Penso, per esempio, alla Fondazione Pubblicità Progresso, che ogni anno chiede alle agenzie di realizzare campagne sociali pro bono su temi di grande impatto. Oppure ai Lions International: un colosso del volontariato globale che, nonostante l’impatto straordinario, negli ultimi anni ha faticato a ottenere la visibilità che meritava, proprio a causa di un deficit di comunicazione che ora sta tornando a colmare. Oggi, per un’organizzazione del genere, comunicare meglio vuol dire anche diventare più attrattivi per nuovi volontari e rafforzare gli effetti della propria azione. Dobbiamo uscire dalla logica dell’eccezione virtuosa: la comunicazione sociale dovrebbe diventare quotidianità.
In un contesto in cui il settore della comunicazione è chiamato a trasformarsi, che responsabilità hanno le agenzie nella costruzione di modelli più etici, partecipativi e sostenibili?
È un punto delicatissimo. Le agenzie hanno la responsabilità di fare scuola, soprattutto sui temi sociali. Ma qui si crea un cortocircuito: fare buona comunicazione sociale genera sensibilità, quindi interesse verso prodotti e brand percepiti come responsabili. E questo può generare speculazioni. Pensiamo al rischio di “washing” intorno agli indicatori ESG. Siamo circondati da Società Benefit, B Corp, certificazioni ISO, che spesso rischiano di trasformarsi in etichette vuote. Le agenzie non devono solo diffondere questi modelli, ma anche contribuire a crearne di nuovi, con metodi di misurazione e verifica efficaci, per evitare che valori nobili diventino pretesti per operazioni di facciata.
Tu richiami spesso un approccio “einaudiano” all’impresa, fondato su etica e responsabilità. Come può questo approccio essere tradotto nel concreto quotidiano di un’agenzia di comunicazione?
Il riferimento a Einaudi mi è caro. Sono un sostenitore del liberismo sul mercato, ma proprio per questo credo che ogni impresa – agenzia, associazione o organizzazione – debba dotarsi di modelli dichiarati, leggibili, trasparenti, e in perenne evoluzione.
Serve una policy proprietaria coerente con il proprio posizionamento e con obiettivi non solo di profitto, ma anche di valore sociale. Serve formazione continua, sia interna sia esterna. Serve confronto, anche grazie alle rappresentanze associative. E serve disponibilità a essere verificati da terze parti. Parlando di ESG, la “S” di sostenibilità sociale deve essere misurabile, altrimenti il rischio è quello di perdere credibilità.
Come possiamo misurare oggi il vero impatto sociale della comunicazione? Esistono metriche o approcci che permettano di andare oltre la semplice visibilità o l’engagement?
Credo che il vero nodo sia il posizionamento reputazionale. La reputazione di un’organizzazione è fatta di risultati, relazioni, immagine, ma soprattutto comunicazione e comportamenti. E una comunicazione chiara e trasparente valorizzai comportamenti virtuosi, responsabili e sostenibili. Se la reputazione di un’organizzazione dipende sempre più dalla sua credibilità etica e responsabile, allora la vera metrica è proprio la sua reputazione. Ma attenzione: spesso si confonde la reputazione con il sentiment, cioè ciò che viene percepito nel breve termine, mentre reputazione significa impatto nel lungo periodo. Ed è qui che entra in gioco l’intelligenza artificiale: oggi possiamo finalmente misurare la reputazione in maniera rapida ed efficace utilizzando i nuovi linguaggi, integrati con le logiche di machine learning. Una nuova frontiera, che farà la differenza.
L’impegno sociale delle agenzie può diventare parte integrante della loro identità imprenditoriale? E in che modo può rappresentare anche un vantaggio competitivo sul mercato?
Non è una opzione, deve diventarlo.
Oggi viviamo un’epoca di equilibri precari, lo sentiamo ogni giorno. Le agenzie devono diventare soggetti diligenti e responsabili, non possiamo chiedere alle aziende di ascoltarci se non siamo noi per primi portatori di valore. In particolare, , di valore sociale, culturale, etico. E non sono ammesse eccezioni, perché basta un esempio negativo per screditare un intero settore. Quindi sì, l’impegno sociale deve essere parte integrante dell’identità imprenditoriale delle agenzie.
UNA, come associazione, che strumenti e iniziative mette in campo per accompagnare le agenzie in questa evoluzione culturale e valoriale?
Proprio perché non sono ammesse eccezioni, il ruolo delle associazioni è fondamentale. L’attuale Presidenza di UNA ha scelto di dare più spazio al valore etico delle aziende associate, alla necessità di condividere, insegnare, presidiare e premiare i percorsi virtuosi. E, cosa importante, giudicare la coerenza tra ciò che si dichiara e ciò che si fa. Lo facciamo attraverso percorsi formativi pensati non solo per migliorare le competenze tecniche, ma anche per sviluppare sensibilità etiche e sostenibili. Inoltre, UNA seleziona i propri partner in funzione di questi stessi valori, in modo che possano entrare nel merito e, se nelle loro competenze, contribuire a verificare la coerenza degli associati. È un circolo virtuoso, e crediamo che questa sia la strada giusta.
Quali sono, secondo te, le sfide principali che il settore della comunicazione dovrà affrontare nei prossimi anni per restare credibile e rilevante dal punto di vista sociale?
Questa è la sfida più importante. Per guardare al futuro con fiducia serve un impegno costante, in continua evoluzione.
Il settore dovrà esercitare una doppia capacità: essere reattivo – quindi sapersi adattare ai cambiamenti – e al tempo stesso proattivo, cioè, contribuire positivamente al cambiamento stesso. È questa la vera responsabilità delle agenzie.
Il mondo, soprattutto quello occidentale, deve ancora imparare davvero a restituire, a dare, a condividere. La sostenibilità sociale non è un auspicio, è una necessità. E se le agenzie devono essere un faro nel comunicare questi temi, è proprio da loro che ci si aspetta di più. Devono assumere questa responsabilità, condividerla, sostenerla e guidare il processo evolutivo.