La “terribile occasione” per un settore della comunicazione che guarda al futuro

Presentato l’Osservatorio UNA sulle aziende della comunicazione

Il mercato della comunicazione in Italia conta circa 10.598 imprese totali. Questo gruppo di imprese ha generato nel 2020 un totale della produzione complessivo di circa 15 miliardi di euro, occupando 26.000 individui, con una significativa presenza femminile che cala però sensibilmente quando il focus si restringe sulla governance delle aziende.

È quanto emerge dal primo “Osservatorio UNA sulle aziende della comunicazione”, presentato ieri a Milano da UNA – Aziende della Comunicazione Unite e realizzato con la collaborazione dell’Università di Pavia. L’obiettivo dello studio è definire i nuovi perimetri, le tendenze e le prospettive del settore.

«Questo primo appuntamento rappresenta un punto di partenza, l’Anno Zero, un momento fondamentale per iniziare a capire dove va questo mondo», ha detto Andrea Cornelli, Vice Presidente UNA e coordinatore di PR Hub, introducendo la ricerca, condotta da novembre a inizio dicembre 2021 (attraverso metodo misto CAWI CATI) su un campione bilanciato di 207 aziende.

La dimensione della industry in Italia 

L’Osservatorio mette in evidenza come la stragrande maggioranza delle imprese del settore sia di piccole (da 3 a 5 dipendenti oltre il 40%) o piccolissime dimensioni (meno di 3 dipendenti quasi il 45%). I soggetti di medie e grandi dimensioni (più di 50 dipendenti) rappresentano poco meno dell’1%, producendo però la metà (57%) del fatturato complessivo del comparto. Nel gruppo di imprese rilevate la stratificazione per sotto-settori appare tutto sommato stabile negli ultimi tre anni con una importante prevalenza di imprese che possono essere generalmente classificate nel sottosettore Adv. Anche l’area delle Relazioni Pubbliche appare essere meno specializzata delle altre prese in esame e l’analisi semantica dei servizi offerti nelle descrizioni qualitative va dal press office alla consulenza strategica. Per definizione i grandi Media Center, che rappresentano una proporzione minoritaria in termini numerici ma che assºrbono una quota molto rilevante del totale della produzione complessiva, offrono profilo di offerta ovviamente generalista che assegna loro compiti di mediazione e organizzazione generale della relazione con la domanda complessiva di comunicazione. 

A livello territoriale, lo studio mette in evidenza delle concentrazioni in alcuni poli, in primis quello lombardo – in particolare milanese – che fa la parte del leone con il 47% delle imprese insediate. Seguono il polo romano (11%), quello dell’area torinese (8%) e quello veneto (5%). 

Lo scenario evolutivo

Il mondo della comunicazione di oggi deve fare i conti con la crescente pressione della trasformazione digitale. Le percezioni del campione coinvolto sugli effetti della transizione digitale sembrano concentrarsi maggiormente sulle possibili opportunità offerte, ma esistono ancora significative sacche di retroguardia in questo percorso di trasformazione che sembrerebbe essere piuttosto lungo. Tuttavia, il processo di transizione digitale, anche se non completato nei fatti, è fortemente desiderato e accolto con la giusta attenzione dal comparto e sarà interessante vedere le evoluzioni nel corso dei prossimi Osservatori.

In questo scenario, il Covid ha sicuramente creato un importante spartiacque in grado di generare nuove necessità e rivedere alcune logiche tipiche di questo mercato, rappresentando una “terribile occasione” per il comparto. Circa il 25% delle imprese intervistate con la pandemia ha incrementato con nuovi servizi il proprio catalogo di prodotti. I nuovi servizi si concentrano per la maggior parte nel mondo digitale e riguardano per l’80% dei casi competenze in area social media management, e in misura minore (53%) SEO e più in generale digital communication (74%) mentre il 65% delle aziende ha aggiunto anche servizi di produzione audio e video. Anche le analisi sul numero di clienti nel periodo pandemico forniscono alcuni spunti di riflessione interessante. Il 48,5% degli intervistati dichiara che il numero di clienti con cui ha lavorato fra il marzo 2020 e il marzo 2021 è aumentato significativamente (almeno del 10%). Per il 33% è rimasto stabile, mentre per il 18,5% si è contratto significativamente. Alla crescita del numero di clienti, tuttavia, non corrisponde una crescita di fatturato. Solo il 6% dichiara nello stesso periodo un aumento significativo di fatturato, mentre una azienda su cinque (20,3%) ha avuto una perdita non ancora recuperata. 

 

Nel periodo fra il 2019 e il 2020, l’11,4% delle imprese ha avuto una perdita significativa di risorse umane, una tenenza che ha toccato maggiormente le aziende di medie e piccole dimensioni (73%). Sono cambiate anche le esigenze delle aziende e delle agenzie in termini di risorse. I primi quattro profili professionali ricercati riguardano rispettivamente la progettazione e gestione di piattaforme digitali (42%), la gestione dei social media (37%), l’ottimizzazione SEO e SEM (31,5%), l’analisi dei dati e in particolare dei big data (31,4%). Seguono immediatamente le professioni grafiche e accounting (27%) Interessante anche che un’azienda su cinque ricerchi profili professionali di produzione audiovideo.

Il gender gap

Si conferma la tendenza nel considerare il comparto della comunicazione un segmento del mercato del lavoro in cui le discriminazioni di genere sono meno presenti con le donne che indicano comunque un livello di diseguaglianza sensibilmente più presente di quanto non facciano gli uomini. Le difficoltà maggiori avvengono per l’universo femminile nel raggiungimento di posizioni apicali che tendono a non abbattere fenomeni di tetto di cristallo che diminuiscono le probabilità femminili di una carriera di vertice.

«Da questa ricerca emerge con grande evidenza il rapidissimo processo di trasformazione dell’intero settore della comunicazione, processo in realtà già avviato da tempo ma che ha subito una forte accelerazione anche a causa della pandemia. Un’occasione straordinaria per ribadire il ruolo centrale di UNA, punto di riferimento delle Aziende associate e dell’intero mercato, oltre che delle Istituzioni. Il cambiamento va infatti guidato, e questa ricerca ci fornisce gli elementi e i dati necessari per poter procedere con il giusto raziocinio, guardando al futuro con grande e solido ottimismo», ha osservato Andrea Cornelli.

Ha aggiunto in conclusione il Prof. Flavio Ceravolo, Direttore del corso di Laurea Magistrale e del Master di secondo Livello MUST dell’Università di Pavia: «Lo studio che abbiamo condotto ha portato alla luce delle evidenze davvero interessanti, in primis perché il comparto delle aziende della comunicazione con i suoi 26mila addetti e i 15 miliardi di euro di fatturato è una voce importante nell’economia italiana. L’analisi fatta ha messo poi in evidenza che il segmento della comunicazione sta seguendo un percorso di trasformazione molto profondo legato al DNA stesso delle professioni al suo interno. Una trasformazione che è iniziata la diffusione dei social media e che il COVID ha enormemente accelerato. L’area della comunicazione, infatti, sta vivendo internamente un cambio degli skills richiesti alle figure “storiche” (account, PR, ecc), ma anche l’inserimento di figure nuove legate alla digitalizzazione, all’intelligenza artificiale e ai big data. Se da un lato la comunicazione non riesce più a fare a meno di professionisti ibridi con skills provenienti dai mondi dell’informazione, dell’ingegneria e della grafica, dall’altro queste nuove verticali richiedono anche modelli di coordinamento innovativi che valorizzano l’autonomia fornendo, allo stesso tempo, cornici interpretative comuni». 

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