Quando lo sport fa gioco di squadra con i brand: la partita di Reale Mutua e Fred con “Back in the Game”
In occasione dell’evento BeShort abbiamo intervistato Lucio Berta e Fabrizio Carratù
Lo sport ha una forza narrativa che nessun algoritmo può replicare: emoziona, divide, unisce, crea eroi, riscrive destini. È un linguaggio universale che i brand stanno imparando a parlare sempre meglio, trasformando l’intrattenimento sportivo in una delle leve più potenti per costruire relazione, fiducia e identità.
In questo scenario si è svolto, il 20 novembre al Cinema Gloria di Milano, BeShort, il festival dedicato all’intrattenimento e alle produzioni originali delle aziende ideato da Giffoni Innovation Hub con DCA – Digital Cinema Advertising. All’interno del panel “Sport & Brand: il nuovo gioco dell’intrattenimento” si è parlato di un progetto che dello sport fa una chiave narrativa e relazionale: “Back in the Game”, il branded content di Reale Mutua firmato da Fred, la business unit di Frame by Frame dedicata ai progetti costruiti intorno alle celebrity.
Ne abbiamo parlato con Fabrizio Carratù, Founder di Fred e Partner di Frame by Frame, e Lucio Berta, Group Brand Communication & Media Relations Manager di Reale Group.

Lucio Berta e Fabrizio Carratù
Partiamo proprio dal panel a cui avete preso parte in occasione di BeShort: quanto lo sport è davvero un veicolo efficace per valori e messaggi di marca?
Fabrizio Carratù: Faccio una premessa, la nostra società nasce come società di casting per il mondo dell’intrattenimento con un focus molto diretto sullo sport; quindi, sono veramente centinaia gli sportivi con i quali abbiamo lavorato in questi anni. Che si tratti di branded content, di un’ospitata in Tv o di uno spot, i riscontri sono stati immediati: sentiment, share e tutte le metriche ci hanno sempre confermato che scegliere uno sportivo è una scelta forte. Lo sport è uno specchio della vita: momenti di vittoria, momenti di sconforto. C’è un parallelismo nel quale ognuno di noi può trovarsi e immedesimarsi. Questo rende lo sportivo un testimonial naturale, vicino alle persone.
E per un gruppo assicurativo come Reale Mutua, perché lo sport è così centrale?
Lucio Berta: Noi abbiamo lavorato su un’idea molto semplice: lo sport è la prima forma di assicurazione. Se fai sport stai meglio, che tu sia un atleta o un quarantacinquenne che corre la sera dopo l’ufficio. Ma non è solo una questione di benessere. Oggi lo sport è forse l’unico “medium” che riesce a essere insieme pop e verticale. A parte Sanremo, non esiste quasi nulla che metta davanti allo schermo tutti quanti. Viviamo in bolle, lo sport può essere sia bolla sia evasione dalla bolla. Un evento come le ATP Finals è stato quasi un “altro Super Bowl”. E allo stesso tempo ti permette di essere verticale: basket, calcio, motori… parli a community specifiche, ma tenute insieme da un substrato valoriale positivo.
Cosa rende “Back in the Game” diverso dagli altri format? Qual è l’elemento distintivo di questo progetto nel mare di contenuti sportivi e di brand entertainment che oggi affollano Tv e social?
F.C.: Una prima scelta forte è stata il cast: abbiamo voluto un panel largo di ospiti per parlare a un pubblico quanto più ampio possibile. Allo stesso tempo, Sky Sport era la casa naturale dove far atterrare un format così. Poi c’è il collegamento con Lillo, l’unico intervistato non sportivo, che è l’ambassador della campagna di Reale Mutua e crea un link immediato con la comunicazione più pubblicitaria del brand. La strategia però non si esaurisce nella messa in onda. Il fatto che il contenuto viva e continuerà a vivere nella repository di Reale Mutua dà un senso di appartenenza e rafforza il legame del brand con il mondo dello sport. E poi il linguaggio è stato pensato fin dall’inizio per essere nativamente “clippabile”: in fase di montaggio abbiamo costruito molti blocchi che si prestano a diventare contenuti social, tagli da 30 secondi, pillole da far circolare sulle piattaforme digitali.
L.B.: Dal punto di vista del format, ci siamo distinti perché abbiamo ragionato al contrario: lo abbiamo pensato con un linguaggio da web, ma per la televisione. Questa scelta è stata premiata. Abbiamo portato un contenuto rilevante, cosa che con i contenuti di brand non è mai scontata. Un altro elemento chiave è stata la scelta di fare davvero un passo indietro come brand. La presenza di Reale Mutua è discreta. Non serve a vendere una polizza in più, serve a posizionarsi. Volevamo essere percepiti come meno noiosi, meno “assicurativi”, usando un linguaggio credibile per quel contesto.

Nel format la figura del conduttore, Jury Chechi, è centrale. Come nasce il suo coinvolgimento e che ruolo ha avuto nella costruzione del progetto?
L.B.: Con Jury il legame nasce da una storia che merita di essere raccontata. A un certo punto della sua vita ha messo all’asta i suoi trofei per ristrutturare la palestra dove era cresciuto, vicino a Prato. Il nostro Presidente viene a sapere di questa cosa, li compra tutti… e glieli restituisce. Da lì si crea un legame naturale, quasi di riconoscenza. Jury inizia a venire ai nostri eventi, fa l’ambassador di Reale Foundation, la nostra fondazione, e racconta questa storia. Col tempo il rapporto il rapporto si è evoluto. Vediamo che le persone lo riconoscono ancora, anche i più giovani. È una figura molto pop, non solo un ex atleta. A quel punto ci diciamo: proviamo a fargli fare qualcosa di più, ma non il classico spot in cui il talent dice “compra Reale Mutua”. Volevamo un ruolo più consono: padrone di casa, conduttore, qualcuno che accompagna gli ospiti dentro un racconto.
F.C.: Jury non è stato solo il volto del format, ma quasi un co-autore. Quando abbiamo proposto nomi come Loris Capirossi, la sua reazione è stata: “Loris è un caro amico, lo chiamo io”. Questo ha creato un clima molto particolare: chi arriva in studio non trova un conduttore “istituzionale”, ma un compagno di viaggio. Jury si è applicato tantissimo. Ha portato nella conduzione del format la stessa disciplina che aveva nella ginnastica: questo, dal punto di vista produttivo, fa un’enorme differenza.
Che cosa c’è, in concreto, dell’identità di Reale Mutua dentro “Back in the Game”?
L.B.: Arriviamo da una fase di comunicazione con Lillo in cui il concetto chiave è “sentirsi socio”, sentirsi parte di qualcosa. È un tema che ritorna in molte interviste del programma. Questo crea una continuità naturale con la campagna Tv: il brand content non è un oggetto a parte, ma il proseguimento di un racconto. Ma c’è dell’altro. Noi siamo una mutua, non un assicuratore qualsiasi. Dentro “Back in the Game” c’è l’idea di stare allo stesso livello: non hai un presentatore che sta su un piedistallo e un atleta dall’altra parte, ma due persone che si parlano da pari. Anche chi guarda si sente sullo stesso piano, dentro il dialogo.
Che bilancio fate ad oggi del progetto?
F.C.: Per noi di Fred, che veniamo da pubblicità, film, documentari, un branded content di questo tipo è stata una sfida. Direi una sfida vinta. Il riscontro è arrivato sia dagli addetti ai lavori – e per un’agenzia è un segnale importante – sia dal pubblico, dagli ospiti… Anche la scelta del formato da 13 minuti, con una messa in onda che permette di entrare anche a programma iniziato, sta funzionando: favorisce la fidelizzazione senza chiedere troppo tempo allo spettatore.
L.B.: I dati completi di audience Tv e online li avremo più avanti. Ma il risultato più bello, per noi come team di comunicazione, è essere riusciti a farlo. Nel mondo assicurativo spesso si arriva dopo gli altri. Questa volta abbiamo aperto una porta verso nuove modalità di interazione col pubblico. E il fatto di avere già in cantiere un paio di altri progetti che forse non avremmo potuto pensare senza “Back in the Game” vuol dire che quella porta non si è solo aperta: ci stiamo già passando attraverso. “Back in the Game” dimostra che lavorando con partner come Fred i brand non si fermano alla semplice sponsorizzazione: entrano nel racconto, lo scrivono insieme e lo trasformano in qualcosa che ispira, coinvolge e lascia il segno.