Reputation in Motion: come cambia la fiducia delle aziende

Il 4 dicembre a Milano l’appuntamento organizzato da RepTrak

Il modo in cui le aziende costruiscono fiducia sta cambiando. È questo il messaggio che ha guidato “Reputation in Motion – La Reputazione nell’era della Disruption geopolitica e dell’AI”, l’evento organizzato da RepTrak il 4 dicembre in Assolombarda, a Milano, dove il team italiano ha presentato insight, trend e nuove leve strategiche per governare la reputazione in una fase segnata da instabilità globale e trasformazione tecnologica.

A introdurre i lavori è stato Dino Damiano Borello, Senior Vicepresident Advisory EMEA di RepTrak, che ha indicato con decisione la parola chiave della giornata: trasformazione. Non più un’opzione, ma una necessità. Il cambiamento non riguarda soltanto la politica, ma coinvolge profondamente le imprese, chiamate a leggere il contesto, anticipare i movimenti e adattarsi con rapidità. «La reputazione non è più un capitale statico, non è più un riflesso di quello che accade, ma una leva che deve guidare la trasformazione», ha affermato Borello.

In un mondo in cui le aspettative dei cittadini si riscrivono quotidianamente – spesso influenzate da eventi geopolitici, tensioni internazionali o annunci politici – la reputazione diventa un fattore di orientamento, uno strumento che consente alle aziende di comprendere i cambiamenti e costruire scenari invece di limitarsi a reagire.

RepTrak ha mostrato come il contesto attuale sia plasmato da tre forze principali: instabilità geopolitica, che rimette in circolo lessici e narrative che pensavamo superati; inflazione e incertezza economica, che alimentano ansia e senso di vulnerabilità; polarizzazione valoriale, che rende più difficile trovare punti di riferimento condivisi. In questa cornice, le persone si rivolgono sempre più alle imprese per avere orientamento e rassicurazione, proprio come accaduto durante la pandemia. La fiducia diventa così l’asse portante della reputazione, mentre le aziende devono ripensare ruolo, responsabilità e modalità di relazione.

La sfida, come ha evidenziato Borello, si gioca sul bilanciamento tra efficienza e umanità. L’intelligenza artificiale sta già influenzando i comportamenti dei clienti, automatizzando processi e ridefinendo la customer experience. Allo stesso tempo, però, cresce il bisogno di autenticità, empatia, trasparenza: le persone vogliono sentirsi viste, ascoltate e comprese. Siamo in una fase di transizione, «a metà strada»: sappiamo quali competenze servono, ma non le abbiamo ancora completamente strutturate. Da qui l’urgenza di trasformare la reputazione da semplice strumento di comunicazione a vera e propria leva strategica, capace di guidare cultura aziendale, processi interni e modo in cui un brand dialoga con i propri pubblici.

Marco Titi, Vittorio Fiore e Fernando Vacarini

Su questo terreno si è innestata la tavola rotonda che ha visto protagonisti Fernando Vacarini, Responsabile Media Relations, Corporate Reputation & Digital PR del Gruppo Unipol, Vittorio Fiore, Italy Corporate Communication and Sustainability Director del Gruppo Lactalis Italia, e Marco Titi, Marketing Director di Unieuro.

Tre settori diversi – Assicurazioni, Food e Retail – che hanno mostrato un punto in comune: la reputazione come infrastruttura strategica. Per Unipol, ha raccontato Vacarini, la reputazione è oggi un sistema strutturato che unisce ascolto, dati e organizzazione. Il gruppo ha sviluppato un algoritmo reputazionale in grado di intercettare i segnali deboli provenienti dal mercato e dagli stakeholder, andando oltre il semplice monitoraggio di ciò che è già evidente.

L’obiettivo è anticipare scenari e avere in anticipo gli strumenti per gestire eventuali criticità. Questo lavoro si regge su team interfunzionali e su una forte partecipazione trasversale: la reputazione non è più un tema di funzione, ma un patrimonio condiviso, integrato nei piani industriali e nei meccanismi di governo dell’impresa. 

Nel caso di Lactalis, come ha spiegato Fiore, la svolta è stata organizzativa e culturale: la creazione di una direzione Corporate Communication dedicata alla reputazione e inserita nei processi decisionali. Questo ha permesso di passare dal limitarsi a osservare i fenomeni dall’esterno a intercettarli e entrarci in relazione, grazie a strumenti di ascolto molto più ampi e sofisticati. I brand così si possono trasformare in driver di fiducia, anche a livello internazionale, rafforzando il dialogo con gli stakeholder istituzionali.

Per Unieuro, infine, la riflessione parte da una domanda volutamente scomoda: perché un intermediario come un retailer dovrebbe occuparsi di reputazione? Titi ha sottolineato che la risposta è arrivata dal bisogno di andare oltre le metriche classiche della comunicazione (awareness, conversion, traffico in store e online) per aprire una riflessione più strutturata sull’identità aziendale. In un contesto in cui le scelte d’acquisto partono spesso da prezzo e convenienza, la credibilità diventa il vero fattore competitivo: per un retailer, diventare brand è difficilissimo. Da qui il lavoro sul gap tra percezione interna ed esterna, sull’uso dell’indice reputazionale non come semplice KPI ma come lente per leggere i dati e indirizzare le azioni.

In un mondo accelerato dall’AI e condizionato dalle tensioni geopolitiche, la reputazione non è più un riflesso dell’identità aziendale, ma un vero motore di crescita, di fiducia e di protezione del business.

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