
Dal bush australiano all’impresa umana: la visione di Mauro Miglioranzi
Coo’ee è un’agenzia indipendente con oltre 30 anni di storia. Un percorso non scontato, fatto di scelte coraggiose. Guardandoti indietro, quali sono i momenti che più ti hanno segnato? E quali i valori che ti hanno guidato fin dall’inizio?
Beh, impossibile non guardare con una punta d’orgoglio a un percorso personale dove, giorno dopo giorno e non senza fatica, mi sono costruito come professionista e come persona. Il punto di arrivo – che ogni volta è una nuova partenza – è la conquista di una sintesi: di concretezza, di tempo vissuto appieno e di valori semplici, ma fondamentali.
Negli anni ’90, quando ero un ragazzo, ho viaggiato tra l’Italia e l’Australia per 7 anni, collaborando con le agenzie creative indipendenti del network Coo’ee. Il brand Coo’ee (si scrive Coo’ee ma si pronuncia cuuiiì!, il richiamo del bush australiano), era presente a Melbourne, Sydney, Brisbane, Adelaide, Perth, Hobart (Tasmania) e Auckland (Nuova Zelanda).

Mauro Miglioranzi
Ho avuto la fortuna di collaborare con Neil Ruff, Ric Hambleton e Kevin Kelly, per brand come Pentax, Saab, McDonald’s, Sony Ericsson. Gli spazi incontaminati, il senso di libertà e l’incoscienza dei vent’anni mi hanno permesso di crescere professionalmente e umanamente, dandomi dei valori come il rispetto, l’educazione e il senso di responsabilità, che ho voluto fortemente condensare qualche anno più tardi nella “mia” Coo’ee.
Cosa ti ha fatto innamorare del mondo della comunicazione allora e cosa ti fa amare ogni giorno questa professione oggi?
La risposta valeva allora e vale ancora oggi: l’amore per l’estetica, per il bello esteriore e interiore, per il design, per la pubblicità. La ricerca dell’idea è ancora quello che mi accende dentro, anche dopo tutti questi anni.
La mania della perfezione, la pulizia e l’essenzialità mi hanno contraddistinto come designer per la moda prima e come graphic designer e art director per il lusso e per la pubblicità poi. Quando ho aperto la mia agenzia pubblicitaria mi sono impegnato a creare un modello valoriale di business che ho chiamato PIU: professionale, imprenditoriale, umano.
Professionale per alzare l’asticella qualitativa del lavoro; imprenditoriale per portare valore alle imprese partner e aiutarle a crescere; umano perché nel lavoro, niente vale come l’empatia, la sensibilità e l’attenzione alla relazione.
Nel tempo avete fatto scelte controcorrente: niente account, rapporto diretto con il cliente, approccio da impresa a impresa. Cosa significa, per te, lavorare davvero in partnership con i clienti? E come si costruisce fiducia in questo modo? Possiamo dire che in un mondo pervaso dalla tecnologia, è ancora l’essere umano a fare la differenza nel business?
Una partnership viva e in salute deve incontrare i valori di cui ti parlavo: rispetto, relazione, empatia e soprattutto il desiderio di un confronto continuo e di una contaminazione sana.
Lavorare per arrivare a una meta comune: è così che siamo passati da essere un’agenzia creativa a un’impresa di comunicazione. Lavoriamo da impresa a impresa, con il cliente e non per il cliente, in un dialogo condiviso e connesso. La tecnologia aiuta il processo ma nulla esiste senza la sensibilità e la creatività umane.
Vorrei fermarmi per un istante ogni volta che mi viene chiesto di correre, di accelerare perché c’è sempre fretta. Fermarsi per analizzare e valutare bene il da farsi è fondamentale per realizzare e gestire dopo, con un passo più veloce e sicuro e con una performance migliore, il viaggio verso l’obiettivo.
Parli spesso del “lusso della semplicità” e dell’importanza di “togliere, togliere, togliere”, che è diventato il vostro mantra. In un’epoca di eccessi e stratificazioni, cosa vuol dire per te semplificare? E cosa resta alla fine, in termini di energia, quando si toglie il superfluo?
Essere semplici oggi è un lusso, per me, da raggiungere. Si ottiene attraverso un percorso di esperienza, di sacrifici, successi, errori e pulizia, tanta pulizia. Togliere il superfluo per raggiungere l’essenziale: eliminare quello che non serve per ritrovare quello che conta realmente. Nel lavoro e nella vita credo che si debba guardare all’essenza delle cose, togliere è un ottimo modo per crescere. La comunicazione è energia. Infatti, al di là delle parole o dei gesti, noi comunichiamo con gli altri attraverso una serie di vibrazioni impercettibili, i nostri pensieri e le nostre sensazioni vengono percepite dagli altri in modo irrazionale. L’essere umano inizia a rendersi conto che l’universo è composto di energia e non di materia, e che qualunque donna o uomo può far scorrere la propria energia verso un altro essere o assorbirla.
Strategia, creatività ed empatia: un trittico che guida la vostra consulenza. Ma proprio l’empatia sembra il filo rosso che attraversa tutto. Perché è così importante per te, nel lavoro e nella vita?
Semplicemente perché l’empatia è mettersi nei panni degli altri, è la capacità di comprendere e rispondere ai sentimenti e alle emozioni, dimostrando sensibilità e capacità di ascolto reale. In un progetto di comunicazione fa tutta la differenza del mondo.
Noi di Coo’ee, io in primis, cerchiamo il più possibile un approccio di tipo empatico, ricerchiamo la complicità, il feeling, per poter instaurare un rapporto di fiducia e di stima. Solo così si possono affrontare progetti, idee e percorsi insieme, in modo lineare, professionale e costruttivo.
La consulenza strategica e creativa è la conseguenza professionale di una base relazionale forte e sincera.
Nel tuo percorso c’è anche una forte attenzione al Terzo Settore, alla sostenibilità, al sociale. Sempre più spesso parli del non profit non come volontariato, ma come impresa. Che ruolo può avere oggi la comunicazione nel generare impatto reale? E come si coniugano – secondo te – profitto, etica e responsabilità?
Parliamoci chiaro: fare impresa – e quindi profitto – in modo etico e responsabile è possibile e doveroso. Anche più impegnativo, certo, ma così gratificante da farti dimenticare la fatica impiegata per arrivarci.
Nel mondo del business si parla tanto di reputazione e meno di coscienza: non è importante solo quello che gli altri pensano di noi, è importante soprattutto agire da persona perbene, con linearità, correttezza ed educazione.
Quando lavoriamo per il Terzo Settore – per clienti come Fondazione Buzzi, Europa Donna, Istituto Tumori di Milano, Fondazione Città della Speranza, Mediafriend e molti altri – cerchiamo di applicare rigorosamente questi principi per lavorare nel rispetto di noi stessi e degli altri.
Perché in fondo, vuoi o non vuoi, gli altri siamo noi.
Il tuo impegno in UNA, come Consigliere, racconta di una scelta precisa: quella di restituire. Cosa ti ha spinto a metterti in gioco nel mondo associativo? E cosa significa per te costruire comunità, oggi, in un settore che ha tanto bisogno di confronto e coesione?
Restituire è sempre stato l’obiettivo anche nelle cariche associative che ho ricoperto prima di diventare Consigliere nel direttivo UNA, come Aipas, Unicom, TP e Assocom.
Per me significa raccogliere dei bisogni e realizzarli con puntualità, responsabilità e precisione. Mi definisco sicuramente un uomo del fare: meno politica e più praticità.
Far parte di un direttivo associativo significa lavorare pro bono per un fine più alto, quello di poter contribuire a far crescere un settore, migliorarlo, innovarlo, creando relazione, rete e condivisione.
Si tratta di pensare più in grande, di uscire dal proprio orto e realizzare progetti che facciano crescere la nostra industry in uno scenario complesso dove tutto cambia velocemente con dinamiche che non sempre sono conosciute e controllabili.
La mia esperienza mi ha insegnato che è solo lavorando in termini di networking, cioè creando rete e confronti continui tra associati e stakeholder, che possiamo migliorare il mondo in generale, non solo quello della comunicazione.