Da Sensemakers l’analisi dei nuovi comportamenti di visione della televisione tra concentrazione e “Non riconosciuto”

La televisione tradizionale resta il mezzo più amato dagli italiani e, soprattutto, quello che li occupa per più tempo. Reti e palinsesti tradizionali cominciano ora a sentire la concorrenza delle piattaforme di streaming: questo fenomeno però non vale genericamente per tutti gli spettatori, ma su una porzione specifica di audience.

A un anno esatto dalla riorganizzazione del perimetro di Auditel, che ha consentito di differenziare le visioni che avvengono attraverso la Tv tradizionale da quelle generate dallo streaming (e dagli altri ascolti definiti come «non riconosciuti», ovvero non attribuibili alle reti), possiamo affermare che la parte più consistente dei consumi è appannaggio delle reti: lo scorso mese di marzo i contatti mensili della Tv tradizionale hanno raggiunto i 53 milioni di individui. Quindi quasi il 90% degli italiani consuma almeno un minuto di Tv.
Paiono quindi ingiustificate le preoccupazioni circa la «crisi degli ascolti», anche se, dopo l’iper-consumo degli anni «pandemici», la tendenza graduale all’erosione del pubblico è ripartita.

Ma più che di erosione possiamo parlare di «polarizzazione» del consumo di video.

Un fenomeno che riguarda tanto la Tv lineare quanto le piattaforme.

Iniziamo dalla Tv.

Il consumo medio, calcolato sull’intera popolazione nazionale, raggiunge una media di tre ore e mezzo al giorno. Ma come spesso accade, le medie nascondono i fenomeni più interessanti.

Possiamo infatti dividere la popolazione in tre grandi categorie: ci sono, da un lato, i «forti consumatori» (circa 16 milioni di persone) e, dall’altro lato, i «deboli consumatori» (altrettanti). In mezzo una ventina di milioni di «consumatori moderati».

Le abitudini di queste tre categorie sono diversissime:

  • i forti consumatori guardano la Tv tutti i giorni, e lo fanno per tempi molto lunghi, che superano le sette ore al giorno. Si tratta di un consumo «concentrato»: in pratica, il 30% della popolazione è «responsabile» del 66% del consumo totale di Tv. Nel 61% dei casi hanno più di 65 anni (oltre l’80%, se prendiamo gli ultra 55enni). Il pubblico di forti fruitori è più femminile, e vive più spesso al Sud.
  • i «deboli consumatori» guardano la Tv più saltuariamente (tre giorni alla settimana), e lo fanno per poco più di mezz’ora al giorno. Il «polo» degli spettatori deboli genera infatti solamente il 4% dei consumi. Quasi un terzo ha meno di 24 anni.

Se è vero che la Tv tradizionale ha perso relativamente pochi ascolti negli ultimi anni, la ragione è da ricercarsi nei «forti fruitori». Il dato di consumo medio giornaliero resta sostanzialmente stabile fra pre-pandemia e post-pandemia: cresce anzi da 447 a 448 minuti al giorno.

Sono i «deboli consumatori», invece, i responsabili della perdita di ascolti: il loro consumo medio superava l’ora nel 2019, ora è dimezzata a mezz’ora. Il loro peso è decisamente meno rilevante di quello dei «forti consumatori», anche se il loro profilo è più giovane.

È ragionevole pensare che proprio sui «deboli consumatori» di Tv si sia fatta sentire di più la concorrenza delle piattaforme, e quella mezz’ora «rubata» alla fruizione sia passata allo streaming. Il consumo di streaming, infatti, è ancora più concentrato.

In questo caso i «forti fruitori» di streaming sono responsabili dell’80% dei consumi complessivi.

I fattori più rilevanti nell’orientare la visione verso la Tv tradizionale o verso lo streaming sono due:

  • i contenuti: lo sport per esempio (si pensi alla Champions) sposta masse di spettatori dal mondo «lineare» allo streaming.
  • la presenza del televisore connesso (o SmartTV), che facilita sempre più visioni ibride, il fluido passaggio fra canali e piattaforme.

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