Università Europea di Roma: dalla comunicazione alla community

La Classifica Censis 2022/2023 premia le strategie dell’istituzione accademica che si afferma per la capacità di raggiungere i propri target in modo efficace. Ne abbiamo parlato con Marco Brotto Rizzo, Direttore Promozione e Comunicazione di UER

È stata recentemente divulgata la Classifica Censis 2022/2023 sulle Università italiane che colloca UER, per il terzo anno consecutivo, seconda in classifica tra i “Piccoli Atenei non statali” e quarta assoluta tra tutte le università di ogni dimensione non statali, ma soprattutto vi collocate come la prima Università in Italia nella comunicazione tra tutti gli atenei, statali e non statali, con il massimo punteggio ottenibile di 110. Cosa ha reso possibile questa crescita esponenziale?

Marco Brotto Rizzo

È davvero un risultato che ci riempie di orgoglio, considerando che i nostri budget e le nostre risorse sono proporzionate alla nostra dimensione di “Piccolo Ateneo”. Ciò che ha reso possibile questa crescita è una molteplicità di fattori riassumibili in: le giuste competenze interne con un mix di lunghe esperienze e giovani talenti, ottimi partner e scelte di comunicazione mirate. In particolare, per la nostra rete di partner e fornitori: una agenzia di comunicazione collaudata e competente nelle attività di advertising tradizionale, determinante per la creazione della Brand Image su un target adulto; un partner di web marketing attento e focalizzato sul nostro mercato di riferimento, di cui ha conoscenza e competenza specifica; un ufficio stampa di prestigio in grado di dialogare estensivamente con i grandi media per mettere in luce le competenze accademiche presenti in ateneo.

 

Solo negli ultimi anni, nel mondo della formazione, la comunicazione sta diventando una leva essenziale per coinvolgere i futuri studenti. Voi come la interpretate?

Sono assolutamente d’accordo, la comunicazione è diventata una leva fondamentale, essenzialmente per tre motivi: il primo è legato alla proposta di un’offerta formativa (il prodotto) enormemente più ampia rispetto al passato e che va comunicata e resa comprensibile al più vasto pubblico possibile. Il secondo riguarda il calo demografico degli ultimi 30 anni, l’ampiezza del target è in diminuzione e quindi gli immatricolati “tocca” andarli a cercare; il terzo è un’audience sempre più disorientata (processo fortemente accelerato dalla pandemia) cui non sempre viene offerto un percorso di orientamento in uscita dalle scuole. Inoltre, la comunicazione verso il target dei futuri studenti sta diventando sempre più complessa e frammentata, e questa frammentazione non facilita certo i piccoli budget di comunicazione come il nostro. La domanda è: dove sono i giovani diciassettenni, cosa leggono, cosa guardano, quando? Chi li influenza? Per fortuna da contraltare a questo target così volatile, resiste il target più strutturato e facilmente raggiungibile dei loro genitori, spesso i veri decision maker (e finanziatori) delle scelte universitarie dei figli. 

 

Quali sono i pilastri della vostra strategia verso l’esterno? Quali media presidiate?

La nostra è una strategia territoriale, che predilige il Centro Sud, pur allargandoci in altre regioni italiane. Per questo motivo prediligiamo media territoriali come affissione, radio e social media. Contiamo su media partner fidelizzati e proven effective, portiamo avanti autonomamente le trattative media e sperimentiamo continuamente i nuovi media e ne analizziamo i dati.

 

Su quali caratteri distintivi avete deciso di puntare per costruire il vostro storytelling?

Noi raccontiamo, giorno dopo giorno, la vita dell’Università e dei suoi eventi sui social media di ateneo, curando in particolare – con l’ausilio del nostro ufficio stampa – la presenza del corpo docente sui media più autorevoli. Inoltre, la nostra offerta di attività per l’orientamento è il contenuto cardine di tutto quello che organizziamo per entrare in contatto con i ragazzi e le loro famiglie.

La sfida per una istituzione formativa come la vostra è creare engagement con l’obiettivo di costruire una community. Come ci siete riusciti?

Il tema della comunità accademica (quella che si forma tra docenti e studenti) è per noi identitario; la centralità dello studente passa necessariamente attraverso il suo sentirsi parte di una comunità dove tutto è pensato perché le sue qualità e attitudini diano il meglio durante il percorso universitario. L’engagement è quindi quotidiano in UER, direi fisiologico visto che siamo “in presenza” nel campus; oggi questo è certamente facilitato dalla piattaforma didattica Canvas (Learning Management system) e dalla continua interazione sui social, cui prestiamo notevole attenzione.

 

Quanto è importante che gli studenti diventino i vostri primi ambassador?

Per due motivi: il primo è che per una giovane università che sta ancora costruendo la propria brand awareness, il passa parola tra gli studenti è il primo biglietto da visita, responsabile di più della metà delle nostre iscrizioni annuali. Il secondo è quello di poter contare su un gruppo di giovani in grado di raccontare l’Università ai propri coetanei con un linguaggio e una immagine adeguati.  

 

Voi rivolgete grande attenzione alle piattaforme social. Come si integra questo tipo di comunicazione con quella di carattere più istituzionale?

Ogni social ha il suo target e un tono di voce adeguato ad esso; anche chi gestisce i social media ha un profilo anagrafico in linea con il social di riferimento: TikTok è in mano ai Brand Ambassadors, Instagram al Social Media Manager, Facebook e LinkedIn è gestito dal Responsabile della comunicazione per temi più istituzionali e Twitter dall’Ufficio stampa.

Segui la diretta di: