Centromarca consolida il ruolo di “hub” per le imprese che guardano al futuro

Intervista al rieletto Presidente Francesco Mutti

Nel mirino ci sono dialogo con la politica, legalità, sostenibilità ambientale, relazioni con la Gdo e ruolo centrale della comunicazione: Francesco Mutti, Amministratore Delegato di Mutti SpA, riconfermato lo scorso novembre alla presidenza di Centromarca, l’Associazione Italiana dell’Industria di Marca, per il prossimo biennio, ha raccontato a Touchpoint Today la mission del suo secondo mandato.

 

Francesco Mutti

Su quali fronti focalizzerà Centromarca nei prossimi 2 anni?

Considero prioritario rafforzare i nostri rapporti con le istituzioni e i decision maker. L’industria di marca ha un peso significativo nell’economia italiana. La produzione dei nostri 200 associati crea valore condiviso per oltre 70 miliardi di euro. Contribuiamo per il 6,5% alle entrate fiscali totali. Occupiamo 118 mila addetti. Alimentiamo un indotto di grandissima rilevanza esteso su fornitori di materie prime e servizi, media, logistica, ricerca, consulenza… Questi fatti ci spingono ad avere un’interlocuzione più intensa in materia di scelte di politica economica. Soprattutto su quelle che impattano sulle imprese, sulle famiglie e sulla dinamica dei consumi. Altre aree di intervento sono la legalità, la sostenibilità ambientale e il consolidamento delle positive relazioni che abbiamo con la moderna distribuzione. Dalla legalità dipende la correttezza della concorrenza e dei rapporti tra i diversi attori della filiera. Su quest’ultimo tema, recentemente, abbiamo siglato un’intesa con la Gdo che ha per oggetto il recepimento della Direttiva Europea sulle pratiche commerciali scorrette nel settore alimentare. La sostenibilità è un elemento centrale delle strategie delle nostre industrie, perché le aziende esistono per fare profitto, ma le condizioni in cui profitto è generato sono elementi che fanno la differenza sull’ambiente, sulla società e sulla competitività. Infine, le relazioni con i retailer: in questi mesi hanno registrato un positivo impulso e faremo del nostro meglio per agire in reciproca sintonia su tutti i fronti in cui ci sono problematiche precompetitive da affrontare.

 

Come è evoluta l’attività associativa in questi mesi di emergenza sanitaria?

Centromarca ha rimodulato rapidamente le attività in digitale e ha consolidato la sua funzione di “hub”, di punto di riferimento per le industrie che fanno della politica di Marca e dei loro brand un elemento distintivo. Durante il primo lockdown abbiamo evidenziato sui media il ruolo del nostro Sistema d’Imprese nel contesto economico e per la sostenibilità dello sviluppo. Sono stati rafforzati i servizi agli associati e le attività di engagement sui pubblici. Abbiamo moltiplicato i momenti di formazione e aggiornamento su numerose tematiche, prodotto un’importante mostra fotografica dedicata alla sostenibilità, realizzato l’edizione più partecipata della storia associativa del tradizionale incontro annuale con le aziende della moderna distribuzione. Oltre 1.200 i manager e gli imprenditori che hanno assistito ai lavori.

 

Come sta vivendo l’industria di marca questa pandemia e quali sono dal suo punto di vista, in questo momento, le esigenze da soddisfare per tutelare la base produttiva e la competitività del Paese?

Certo gli stop alla vendita di diverse merceologie non alimentari e il sostanziale blocco dei consumi fuori casa non hanno fatto bene a nessuno, ma il nostro Sistema d’Imprese, nel complesso, ha risentito meno degli altri agli effetti sulla domanda dell’emergenza sanitaria. Penso, per esempio, al mondo dell’auto o ai trasporti… Passando alla seconda parte della sua domanda: credo sia sotto gli occhi di tutti una forte esigenza di liquidità, indispensabile per sostenere il mondo produttivo, che si scontra con una debole, incerta capacità di esecuzione da parte dello Stato e con una rilevante dispersione delle risorse messe in gioco. È urgente il varo di un piano di rilancio nazionale. Il tempo delle diagnosi su quello che serve al Paese è finito. L’agenda delle cose da fare è chiara, i contenuti noti da tempo. Il Covid-19 ha suonato la sveglia, ha portato al pettine mali endemici e ne ha amplificato gli aspetti problematici. Una burocrazia asfissiante e un quadro normativo confuso stanno ancora determinando lentezze inconcepibili nell’esecuzione di provvedimenti indispensabili per il mantenimento della base produttiva. Dobbiamo contenere i danni: difendere la competitività, l’occupazione, la capacità di spesa delle famiglie. E soprattutto attrarre investitori, ma per farlo è indispensabile fare scelte nette, individuare i settori trainanti per l’economia del Paese e favorire il loro pieno sviluppo. Non possiamo più permetterci di disperdere risorse economiche su realtà o settori fuori mercato da anni.

 

Quanto è importante continuare a investire nella comunicazione in questi momenti?

Lo è sempre. Comunicare significa innanzitutto mettersi in ascolto del cittadino, capire le sue esigenze e i modelli di riferimento. Abbiamo consumatori anziani, adulti, millennials, generazione zeta… Ognuno frequenta media diversi, in tempi diversi, con esigenze diverse. Se un’azienda lavora bene intercetta i target e la qualità dell’ascolto diventa qualità della risposta. Entra in sintonia, in relazione con gli interlocutori. Crea una relazione importante, condivide valori e idee. E una sintonia fondamentale per trasmettere l’identità pubblica dell’impresa e dei suoi brand. Ed è indispensabile per contrastare la forte tendenza alla “comoditizzazione” che caratterizza il mercato dei beni di largo consumo. Comunicare, per la Marca, significa ricordare costantemente al consumatore che sullo scaffale i prodotti non sono tutti uguali: contengono valori materiali e immateriali diversi. 

 

Una delle iniziative realizzate da Centromarca, su cui i media hanno concentrato l’attenzione, è la mostra “Il futuro è guardare oltre – Industria di Marca e sostenibilità”. Cosa vi ha spinto a realizzarla?

Come le dicevo la sostenibilità economica, ambientale e sociale è tra le nostre priorità. La mostra è un’iniziativa coerente. Volevamo presentare concretamente il nostro impegno con immagini e didascalie che documentassero tematiche ambientali di particolare rilevanza in cui l’Industria di Marca è impegnata: dall’uso consapevole delle risorse naturali alla riduzione delle emissioni; dallo smaltimento dei rifiuti alla riprogettazione dei processi produttivi. Altrettanta evidenza è stata data agli impegni delle aziende in ambito sociale: progetti di aiuto ai soggetti più vulnerabili, il contrasto a stereotipi e pregiudizi, le iniziative per la valorizzazione della persona e della diversità. Per un mese, lo scorso ottobre, in via Mercanti, nel centro di Milano, abbiamo sperimentato una nuova modalità di comunicazione con l’opinione pubblica e con i media. 

I risultati sono degni di nota: abbiamo intercettato fisicamente circa 700 mila persone e stimolato l’interesse di numerose testate giornalistiche. In 28 giorni sono stati prodotte una cinquantina di presenze media per oltre 31 milioni di contatti.

 

Dal lockdown abbiamo assistito a una virata dei brand verso elementi valoriali più che di prodotto. È la strada nel futuro?

Penso che entrambe le dimensioni possano convivere. La sfida sta nell’individuare attraverso quali strumenti, modalità, linguaggi, tone of voice farlo. Nel mestiere della Marca, come nelle scienze, non esistono principi assoluti. Certo uscire dalla banalità, dal conformismo richiede coraggio, voglia di mettersi in gioco. La Marca deve avere questa attitudine se vuole conservare nel tempo il suo rapporto privilegiato con un consumatore che evolve costantemente ed è sempre più multistile e combinatorio nella sua routine quotidiana.

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