Allenare le potenzialità per vincere nello sport come nel business

«Concentrarsi sulla propria prestazione, più che sul risultato»: sono questi i presupposti per costruire una vittoria secondo il mental coach Stefano Massari che in questa intervista ci racconta il suo percorso professionale e il suo metodo di lavoro

Innanzitutto, chi è Stefano Massari? Qual è stato il suo percorso di formazione?

Sono diplomato al Liceo Classico con il massimo dei voti e laureato in Scienze Politiche con lode. Ho seguito un corso di sei mesi sullo sviluppo e l’organizzazione del personale alla SDA Bocconi. Ho studiato Coaching alla Scuola Italiana di Life & Corporate Coaching.

Ho 53 anni, una moglie che adoro e due gatti. Mi piace molto quello che faccio tutti i giorni. Oltre al mio lavoro amo molto fare sport, leggere, suonare la chitarra.

Stefano Massari

Lei ha una lunga esperienza in pubblicità, come creativo prima e come manager poi; cosa l’ha spinta verso la professione di mental coach?

In realtà, il fatto di avere lavorato per tanti anni come creativo mi è molto utile oggi. I percorsi di coaching sono tutti diversi l’uno dall’altro e implicano un grande impiego di creatività. Ovviamente, in questo caso, le idee non hanno l’obiettivo di vendere ma di allenare, in maniera adeguata e personalizzata, le qualità delle persone con cui lavoro.

 

Cosa fa in concreto un mental coach? In cosa consiste la differenza fra psicologo dello sport e mental coach?

Il mental coach è un allenatore di potenzialità. 

Si tratta delle qualità che vivono nelle persone, ma che vanno individuate, restituite a chi le possiede e poi allenate quotidianamente, sia durante l’attività sportiva che nella vita. 

A quanto ne so, gli psicologi dello sport tendono a essere molto attenti ad alcune dimensioni della performance sportiva. Ad esempio l’attenzione, oppure l’autoefficacia. Però ciascuno di loro ha un proprio modo di lavorare, dunque è difficile generalizzare.

 

Quali sono gli aspetti inerenti alla preparazione mentale ai quali prestare attenzione?

Come ho già detto, io privilegio l’identificazione e l’allenamento delle qualità individuali. Ci sono qualità meramente agonistiche: ad esempio la perseveranza, oppure la determinazione. Altre invece di tipo relazionale: ad esempio l’onestà, la generosità, la gratitudine. Sono queste qualità, nel loro insieme, che possono essere utili durante la prestazione, ovviamente se allenate prima. Aiutano a superare gli ostacoli che di volta in volta si presentano e dunque ad esprimere il meglio di sé.

 

Lei lavora con sportivi di primo livello, fra gli atleti che segue c’è Matteo Berrettini, uno dei migliori tennisti italiani. Quali aspetti del mental coaching si possono trasferire dall’ambito sportivo a quello aziendale?

Una volta individuate le potenzialità individuali, esse possono essere vissute e dunque allenate in ogni ambito della vita. Sia nello sport, che in azienda. Molto spesso, quando faccio interventi di coaching formativo in azienda, porto con me riferimenti sportivi, anche di tipo letterario. Ad esempio, brani tratti dalla biografia di Agassi, “Open” dall’“Arte di correre”, di Murakami, da “Nati per correre” di Finn.

 

Quali sono gli elementi essenziali per costruire una vittoria nello sport come nel business?

Credo che un elemento chiave sia concentrarsi sulla propria prestazione, vale a dire sul come si fanno le cose, più che sul risultato. La cultura del risultato, così diffusa, non porta nulla di buono: solo pressione e inquietudine. E paradossalmente allontana il risultato. L’attenzione alla prestazione, viceversa, con tutto ciò che implica di positivo in termini di allenamento delle proprie qualità, è molto più utile e gratificante, sia nello sport che nel mondo del lavoro.

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